È uno spazio di verde urbano costellato di 36 statue in bronzo, tangente alle Vie dell’Acqua.
Ideato dallo stesso Quinto Martini e progettato dall’architetto Ettore Chelazzi, fu inaugurato nel 1988 e da allora è aperto al pubblico h24.
Oltre a testimoniare l’opera di un grande artista del Novecento europeo, le statue del parco rappresentano il mondo umano e naturale esprimendo, come disse l’artista, “la semplice vitalità di questa terra”; per questo motivo non sono confinate in un museo , ma hanno “un appropriato inserimento in quella natura da dove sono state tratte e dove tutti possono avere le loro ore di libertà” (Quinto Martini).
Durante la primavera e l’estate il Parco Museo ospita eventi e laboratori aperti a tutti.
Il Parco Museo è stato ritratto dal fotografo Aurelio Amendola, interprete straordinario della scultura di Quinto Martini, come già di quella di Michelangelo e Donatello.

Le opere del Parco Museo sono fusioni da modelli la cui invenzione risale a momenti diversi del percorso di Martini, dai primi anni Trenta fino alle ultime sculture degli anni Ottanta. Così, attraversando il parco, è possibile ripercorrere tutta la storia dell’artista. La Mendicante e L’uomo sotto la pioggia, ad esempio, nacquero come figure autonome in epoche diverse, poi, al tempo della progettazione del parco, l’artista decise di affiancarle, non per porle in dialogo ma perché entrambe condividono una condizione: sono sotto la pioggia; anche quando non piove, l’impressione che si riceve guardandole è vividamente quella di due figure sotto l’acqua che piove dal cielo. “La pioggia mi è sempre piaciuta. Mi piace sentirla battere sui vetri perché sono nato, come sempre mi hanno raccontato, durante un forte temporale” (Quinto Martini).
Foto: Aurelio Amendola, La Mendicante e l’Uomo sotto la pioggia
Riferendosi a questa scultura, Quinto Martini affermò che per lui l’arte “deve sempre nobilitare”, e che l’oggetto di questa nobilitazione, in questo caso, diversamente dal solito, voleva essere la paternità. “Tutti fanno la maternità (…) La mia statua vuol essere invece una paternità” (Quinto Martini). Nel Parco Museo ci sono ben tre paternità, ma ci sono naturalmente anche le madri, perché quella rappresentata nel Parco di Quinto Martini è una società di eguali: vecchi o bambini, padri o madri, mendicanti o commercianti, persino gli animali, tutti sono raffigurati con la medesima solenne dignità, e ai padri, come alle madri, è riconosciuta la medesima capacità di elargire cure, affetto e tenerezza.
Foto: Aurelio Amendola, Paternità


Nel Parco Museo si trovano le opere più rappresentative del percorso artistico di Quinto Martini. Non poteva quindi mancare uno dei temi più felici del suo repertorio di vita agreste: la Ragazza che prende l’oca. Di questo soggetto, ideato intorno al 1968, esistono molti disegni e piccole sculture, con lievi varianti rispetto alla versione monumentale del parco.
La versione in bronzo di piccolo formato fu esposta in numerose occasioni, in Italia e all’estero, a partire dal 1971. Poi, nel 1972, Quinto Martini cominciò a elaborare il modello in gesso del bronzo del parco; la fusione fu realizzata tra il 1978 e il 1981.
Foto: Aurelio Amendola, La Ragazza che prende l’oca
Il Parco Museo fu progettato dall’architetto Ettore Chelazzi seguendo le indicazioni dell’artista: è a Quinto Martini che si devono l’idea e il disegno delle basi e delle edicole di mattoni in cotto, materiale caratteristico dell’edilizia locale, che per Quinto era letteralmente familiare: le sue prime figure plastiche le modellò da bambino con l’argilla della fornace dello zio, qui a Seano, a pochi passi dalla Casa Studio. In questo caso l’edicola in mattoni si presenta come il frammento di una casa, sulla cui soglia si affaccia una donna che aspetta il ritorno di qualcuno.L’attesa è una condizione a Quinto ben nota sin dall’infanzia, quando per anni attese il ritorno del fratello maggiore Aldobrando, imprigionato dai fascisti per un decennio, nel carcere delle Murate di Firenze. L’attesa di Aldobrando fu particolarmente penosa per la madre, che non si riprese mai dal trauma. È forse anche per questo che il tema dell’attesa Quinto lo raffigurò sempre attraverso l’immagine di una donna sulla soglia di casa.
Foto: Aurelio Amendola, L’attesa


Il nudo femminile era uno dei soggetti più cari a Quinto perché per lui la donna rappresentava la perfetta sintesi, e dunque l’effigie, di ciò che più amava: la Natura e la Bellezza. Per questo nel Parco Museo le donne, nude o vestite, sono tante. Alcune sono qui semplicemente perché sono belle, e la Bellezza per Quinto era un valore. Altre sono personificazioni, come Natura e Primavera; ma ci sono anche molte altre donne che abitano il parco di Quinto, compresa un’eroina: Giovanna d’Arco, che saluta chi entra dall’ingresso nord. L’originale di questo bronzo è un gesso del 1942 che venne esposto per la prima volta a Firenze, a Palazzo Strozzi, nel 1945. Successivamente, il gesso fu pubblicato in “Stile”, la rivista di Gio’ Ponti, il quale la interpretò come un’opera fatta per essere collocata all’aperto, nella natura.
Foto: Aurelio Amendola, Alcea
Caccia al cinghiale è una delle cinque sculture che Quinto Martini, tra il 1981 e il 1988, ideò appositamente per il Parco Museo. Tutte le altre statue, sebbene fuse in bronzo nello stesso giro di anni, risalgono a modelli realizzati nel corso di tutta la carriera dell’artista. Realizzare in bronzo un soggetto come questo, volante e articolato nello spazio, è una vera prova di virtuosismo tecnico e di inventiva. Al tempo di questa scultura, Quinto aveva alle spalle un’esperienza trentennale di fusioni in bronzo e conosceva bene i limiti della scultura, ma anche gli espedienti per aggirarli. Quando immaginò la Caccia al cinghiale aveva già in mente la soluzione al problema statico. Gli arbusti che spuntano dal terreno, infatti, se da un lato suggeriscono l’ambientazione dell’inseguimento, dall’altro fungono da supporto alle figure volanti e sono in parte realizzati sfruttando gli sfiatatoi della fusione. Normalmente questi canali vengono rimossi durante la fase finale del processo di fusione, qui invece alcuni di essi sono stati mantenuti dall’artista, che eseguiva sempre personalmente la fase finale di rinettatura perché, come disse una volta, “la statua è di chi la rinetta”.
Foto: Aurelio Amendola, Caccia al cinghiale
