Galleria dei testi

« Dedico il Parco Museo alle donne e agli uomini di tutto il mondo »

Quinto Martini

« Le mie sculture vogliono prima di tutto esprimere la semplice vitalità di questa terra. In quella natura da dove sono state tratte e dove tutti possono avere le loro ore di libertà »

Quinto Martini

« Ognuna di queste statue risponde dentro di me con un suono diverso: diverso per il ricordo di una particolare situazione, di un particolare stato d’animo, di una diversa età. Quando vengo qui ciascuna mi parla con una sua voce, che è poi la mia del tempo di allora »

Quinto Martini

« … il parco-museo di Seano è realmente alternativo: perché sperimenta valori inconsueti nella pratica della città speculativa, e costituisce a questo titolo un’anticipazione, sia pure parziale, di una città diversa »

Paolo Sica, Presentazione del progetto, in Marco Fagioli, Parco-Museo Quinto Martini, catalogo delle sculture, Comune di Carmignano, 1997

« le opere d’arte dovrebbero restare dove nascono; la terra dove si hanno i natali si attacca ai piedi, è una cosa che non si può evadere impunemente e per tutto ciò è una grande fortuna che le mie opere stiano a Seano, luogo dove io sono nato »

Quinto Martini, intervista rilasciata nel luglio 1988

«E poi ci sono le attese, le figure che fanno capolino dietro una persiana, e se ne vede una metà soltanto; e sono sempre lì che aspettano, perché nella condizione umana sta scritto che colui che attendono non verrà più, non verrà mai.”

Giorgio Bonsanti Per Quinto e Aurelio, in Quinto Martini. Fotografie di Aurelio Amendola, Arezzo, Magonza, 2020

«Entrando nel parco, immediatamente capii che quell’uomo dall’apparenza tanto semplice era un grande artista, un gigante dell’arte. Quasi religiosamente compreso, come se avessi fatto ingresso in un luogo sacro, mi fermai a contemplare ognuna di quelle statue che si ergono nella natura in tutta la loro vitale solennità, nella loro singolare ieraticità. Mi colpì infatti l’eccezionale forza rappresentativa delle figure umane e degli animali. L’aspetto che di quelle opere a me parve più rilevante fu la perfezione formale, fondata sulle più canoniche regole del classicismo. Ma quella forma così composta, così alta e nobile, non si chiudeva mai in un compiaciuto, in un egoistico appagamento di se stessa (qualche volta ciò avviene nel sovrano Canova), ma si apriva in ogni sua parte – con una singolare naturalezza, con sapientissime deformazioni o stilizzazioni – alle realtà del nostro vivere quotidiano, alle diverse esperienze di noi uomini moderni. In particolare quelle sculture si facevano testimonianza presente e viva delle classi più popolari e disagiate, dei contadini, degli operai, degli artigiani. (Ho adesso in mente la stupefacente Giovanna d’Arco, quelle straordinarie braccia e quelle mani, quelle magnifiche mani protese verso il cielo: c’è là una vera contadina o una pastorella portata alle altezze della santità, della misericordia, della nobile implorazione di una insolita Madonna). Insomma, in tutte quelle monumentali statue l’eterno si univa al transitorio, l’umile realtà popolare assurgeva alla più solenne sovranità (…). Queste sono le prerogative infallibili della vera arte, della grande arte. E questo era anche l’ideale di Soffici quando scriveva in una delle sue più belle poesie (Arcobaleno) ‘L’oggi si sposa col sempre / Nel diadema dell’iride che s’alza’.”

Mario Richter, Quinto Martini: una testimonianza, Prato, Pentalinea Editore, 2013

“Una modernità ancorata a una lunga storia, più che ‘tradizione’, percorsa dal Romanico al Novecento, antiaccademica e insieme distante dalle Avanguardie, ma genuinamente vissuta.”

Marco Fagioli, Quinto Martini: un moderno classico, in Quinto Martini, a cura di Consuelo de Gara, catalogo della mostra al Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo (24 maggio-30 giugno 2013), Firenze, Mandragora, 2013