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“I 10 comandamenti dell’artista
1 – Io sono l’arte tua
2 – Non pronunciare il nome mio invano
3 – Ricordati di santificare i grandi
4 – Onora madre natura
5 – Ama i tuoi compagni di strada
6 – Non fare opere impure
7 – Non copiare
8 – Non fare il falso
9 – Non appropriarti dell’idea altrui
10 – Non desiderare l’arte non tua”

Quinto Martini, manoscritto autografo non datato

“Figlio di contadini, ho lavorato da ragazzo la terra, alternando al lavoro dei campi quello di sporcare con carbone e colori i muri della mia casa e le pareti della mia camera, modellando figurine, cavalli e intere battaglie per i miei compagni, senza sapere che mai ci fossero stati degli artisti, e cosa fosse l’arte

Quinto Martini, Risposta all’inchiesta di Lamberto Vitali, Dove va l’arte italiana?, in “Domus”, IX, 108, dicembre 1936

“Il primo artista lo conobbi nella primavera del 1926. Presentato da un carraio ad Ardengo Soffici, fu nelle mie prime visite a lui che mi si aprì davanti un mondo più ampio; la natura e Soffici sono stati i miei primi maestri.”

Parole di Quinto Martini riportate da Marco Moretti in Un popolo di bronzi sul colle di Artimino, in “Toscana Qui”, luglio/agosto 1983

“Arrivato così ad un certo punto della mia carriera, non mi occupo ora che del mio lavoro. Non sto dietro a polemiche, non sfoglio riviste per aggiornarmi, ho in avversione qualsiasi forma d’arte che sappia d’intellettualismo e di moda. Amo invece, quanto a me, osservare la vita e le persone che mi si muovono intorno di continuo; e vorrei raffigurare ed esprimere con semplicità di linee e larghezza di piani gli aspetti più caratteristici e poetici di questa natura. (…) lavoro molto (…) e ciò perché stimo che soltanto lavorando si può arrivare naturalmente a risolvere tutti quei profondi problemi dell’arte che l’intelligenza non potrebbe mai per astrazione risolvere.”

Quinto Martini, Autopresentazione, in III Quadriennale d’arte nazionale. Catalogo generale, Roma, 1939

“Mi piace la pioggia
la nebbia
il vento il giorno
la notte
freddo e gelo
d’inverno
l’arsa calura
d’agosto
il silenzio della neve
le vacche magre e grasse
chi nasce chi muore
gioisco a primavera
amo l’autunno
la fine dell’anno
l’anno che nasce
fiori e spine
lungo il cammino
tutto mi rende più viva
la vita che passa
camminare non stanca
né numeri né date
nella mia mente
tutta visiva
muoiono i giorni
l’immagini restano
a ricordarmi i ricordi
camminare non stanca”

Quinto Martini, Poesie a colori, a cura di Sauro Albisani e Teresa Bigazzi, Firenze, Le Lettere, 2002

“A me, oggi, piace pensare a questo genuino temperamento di grande artista dalla fragile e arguta figura di popolano toscano, come ad un uomo che ha saputo vivere fra gli uomini comprendendone ogni gesto e che alle loro azioni più semplici ha attinto la forza e l’insegnamento utile ad inserire nella sua visione intima del mondo quella elementare e limpida potenza che ha fatto di lui un vero maestro.

Quinto Martini, recensione alla mostra di Giovanni Fattori alla Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, in “Il Nuovo Corriere”, 1 novembre 1953

Sotto terra
mi farò terra
come la terra
sentirò freddo
caldo
pioggia
vento
solo così vivrò
lungo tempo
come la terra

Quinto Martini, Poesie a colori, a cura di Sauro Albisani e Teresa Bigazzi, Firenze, Le Lettere, 2002

Lisippo, Giotto, Quinto: il filo culturale di lunghissimo periodo è ben leggibile, ed è quello di una vocazione artistica nata fuori dalle accademie, dalle tradizioni di bottega, dalle correnti e dai movimenti.  È nata invece in intima connessione con il lavoro materiale, e con la realtà. Nel caso dei due toscani Giotto e Quinto, poi, il nesso forte è quello, genetico, con la terra: con gli animali per il rifondatore dell’arte occidentale, letteralmente con la terra per Quinto, che lavora con le mani ciò che i suoi padri hanno per millenni lavorato con la vanga e l’aratro. Per Quinto Martini, poi, la dimensione fortissima dell’autodidatta – e cioè anche dell’artista libero dal mercato e fuori dai giochi degli schieramenti artistici – non illumina solo gli inizi, ma anche i fini del fare arte: fini sociali, politici nel senso più alto. L’artista che nasce plasmando nella terra i corpi stanchi dei contadini che giacciono su quella stessa terra rivolge la sua opera a quegli stessi contadini, in un circuito profondamente civile che costituisce l’esatto opposto dell’alienazione del lavoro industriale e urbano. (…)
La lunga durata dell’arte senza maestri di Lisippo e di Giotto da una parte, e la profondità e la drammatica densità del Novecento italiano dall’altra: sono questi i fili da tirare per leggere e comprendere l’arte di Quinto Martini. Un’arte che vive di paradossi: un’arte per molti versi fuori dal tempo, ma profondamente ancorata alla storia degli uomini; altissima per la tradizione cui si rifà, popolarissima per i soggetti, i destinatari, lo stile.
Un felice paradosso che c’era già tutto nel ragazzino che cercava di dare forma alla terra che per millenni aveva dato forma alla vita dei suoi padri.”

Tomaso Montanari, Fili per Quinto Martini, in Quinto Martini, a cura di Consuelo de Gara, catalogo della mostra al Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo (24 maggio-30 giugno 2013), Firenze, Mandragora, 2013, pp. 26-28.

Cinque sculture, da sempre presenti nel Parco-Museo di Seano, vengono oggi donate [al Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo] dalla signora Teresa B. Martini, erede del maestro, e dal Comune di Carmignano (…). Tra di esse, quella che risale più indietro nel tempo è una figura di ragazza nuda, quasi sdraiata, Alcea (…) Pur dando seguito al tema della bellezza del corpo femminile, tradizionale per la scultura italiana, Martini lo interpreta a modo suo. (…) Lo scultore trasmette con capacità e fedeltà il corpo nudo della ragazza, che è certo una sua contemporanea, forse un’amica. La figura è moderna nei capelli corti, nelle forme allungate del corpo e persino nell’instabilità del suo equilibrio. Al tempo stesso, nella statua è presente un significato universale (…).
Natura fu creata più di vent’anni dopo, nel 1965. Anch’essa raffigura un nudo femminile, ma questa volta la modella è ritratta in posizione accovacciata. A differenza della concretezza di Alcea, qui lo scultore vuole darci una raffigurazione totale della figura femminile. L’immagine da lui creata tende ad assumere, al di là dell’espressività, un valore simbolico. La figura umana viene tratteggiata quasi come un corpo geometrico astratto, complesso, nel quale i volumi scivolano l’uno nell’altro.
(…) La presentazione dell’arte di Quinto Martini non sarebbe completa senza i suoi bassorilievi, eseguiti con la tecnica del bassorilievo pittoricole cui basi furono poste all’inizio del XV secolo da un altro scultore che l’artista stimava, Donatello.
Nel bassorilievo intitolato Pioggia (…) Lo scultore è stato abile nel rendere una figura femminile elastica, i cui contorni ora si stagliano nettamente ora sono quasi indistinguibili dall’infuriare degli elementi naturali (…)
Il Parco-Museo di Quinto Martini espone anche figure di diversi animali. Pur non essendo per elezione un animalista, il maestro si dedicava con piacere alla riproduzione dei più vari esemplari del regno animale, ogni volta cercando di cogliere fino in fondo le caratteristiche del soggetto: è così con l’enorme lumaca, coi serpenti, con le anatre. Questo gruppo di opere [all’Ermitage] è rappresentato dal Gallo realizzato per il Parco Museo nel 1984. (…) Di questo specifico gallo l’artista coglie la particolarità, l’essenza individuale, forse persino il carattere. Ed è proprio il rigore col quale l’artista si rapporta al suo modello a trasmettere al bronzo un senso di immediatezza e persino una sfumatura di benevolo umorismo.
Tuttavia va da sé che la maggior parte delle sculture del Parco-Museo siano dedicate alla gente in mezzo alla quale Martini viveva. Quasi tutti i suoi eroi e le sue eroine sono occupati nelle proprie faccende o hanno in mano gli attrezzi del mestiere (…) Costante è poi la sua attenzione al tema del legame tra padre e figlio (…)
A questo gruppo di lavori appartiene anche Mendicante (1981 c.), con la quale Martini torna a un tema già esplorato ai suoi esordi. Lo scultore stesso diceva che quest’immagine era nata in lui negli anni ’30, sotto l’impressione di una scena reale. La statua raffigura una donna anziana con una veste leggera e uno scialle gettato sulle spalle. L’espressione del volto è severa e assente, il palmo della mano destra è timidamente teso in avanti a chiedere la carità. Sulla testa, per ripararla dalla pioggia, ha una scatola di cartone, che rende tutta la figura particolarmente spigolosa (…).
Crediamo che queste opere di Quinto Martini diventeranno un’importante integrazione della collezione di scultura italiana del XX secolo dell’Ermitage e la mostra rivelerà ai visitatori un grande maestro, finora poco noto nel nostro paese.”
 

Sergej Androsov, Lo scultore Quinto Martini e le sue opere, donate all’Ermitage, in Quinto Martini, a cura di Consuelo de Gara, catalogo della mostra al Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo (24 maggio-30 giugno 2013), Firenze, Mandragora, 2013, pp.17-19